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Pericle il Nero (2016) di Stefano Mordini

5 giugno 2016 | commenta

Non si può non voler bene a Scamarcio, sembra refrattario alla televisione così pieno dei suoi occhi.
Certo ad avere un panorama completo della produzione cinematografica italiana, si potrebbe portare argomenti giustificanti questa opera tangenziale, darle traiettoria, rimandi, collocarla nella pleiade delle ricerche dei nostri autori. Ma c’è una ricerca, oltre il successo al botteghino (indispensabile fra l’altro)? O ci sono solo ossessioni? Domande che non si sa a chi rivolgere?
Attori e interpreti. L’interprete durante la sua presenza non fa mai immaginare la sua vicenda personale, la sua vita, anzi se narra Adriano, Albertazzi è sparito, non c’è, non penso alla Proclemer o a suo fratello Franco Zeffirelli, ma all’Imperatore nella sua propria esistenza. Immagino i suoi guerrieri che gli conquistano i deserti, al trono divino che non consente altro dio, alla feroce dolcezza del suo levriero suicida, Antinoo. Con Scamarcio avverto Valeria Golino, con Accorsi Letizia Casta, con Ricky Tognazzi Simona Izzo. Ho letto una sola intervista dei protagonisti, misteriosa mi appare l’esigenza di fare questo film. Cosa c’entra la famiglia camorrista con la famiglia Dardenne? Forse l’eco carezzevole della natura, le cime degli alberi danzanti, il ticchettio del picchio, l’immagine della somiglianza del condominio dove abita la madre dei due figli e Le Vele di Secondigliano?
                Mi piacerebbe tanto saper fare il regista, più di un pittore, più di ogni altro artista, può espandere la sua sensibilità, dare ai suoi sensi una estensione dentro gli spettatori. Eppure in questa pellicola rimane un godimento visivo, come completare la colleziona estiva del noir da leggere in pomeriggi indolenti. Non si può non rilevare l’esigenza narrativa di una vicenda esemplare di aggiornamento sulla criminalità organizzata, tuttavia il risvolto biografico non è credibile, impossibile pensare che Pericle si salverà inserendosi in una famiglia con 50 mila euro. La stolidità di Pericle non può cessare, la sua fedeltà canina difficilmente sopportabile al di là dell’appetito sessuale. Pericle è una figura bisognosa di oblio, difficile usare le scelte fatte dalla donna per la sua libertà. Pericle è seducente per i fan italiani.
Non c’è segnale che lei voglia partecipare ad un’opera di riabilitazione, carico troppo grande per un amore. Tutto il clima suicidario, l’attesa della vendetta della camorra, il riciclaggio del denaro sporco a fin di bene non potrà resistere. Il priapismo trasformarsi in tenero e regolare amore coniugale. L’attore protagonista, assai deluso delle reazioni al botteghino e anche di quelle a Cannes, suggerisce che si tratta di una storia di redenzione, la donna che gli fa cambiar vita. Il nostro pugliese è persona mite, non frequenterebbe mai certe parti del corpo degli altri, non ammazzerebbe una mosca.
                Forse un tale personaggio letterario non doveva essere incarnato, restare nelle pagine del libro. Ecco, nessuno si entusiasma dell’automatismo erettile al servizio del recupero dell’usura, o del trasferimento a Calais dei palazzi del degrado urbano napoletano. Un personaggio emigrante, meridionale, apata, si salva per la persistenza di quello che è l’attore nella vita, non ce la facciamo a non fare nessi con ciò che sappiamo di lui dalle cronache gossip, nella vita di Scamarcio e del regista non c’è la vastità del male, non c’è l’emergenza di un’osservazione nuova che non concluda al solito della cattiveria innata della natura umana. Buia, claustrofilica, premaomettana è la visione del Belgio di Signorinella e Don Luigi, non c’è Gomorra, ma un tinello marron, il prodigio della decontestualizzazione ambientale della camorra. Cosa nostra mostrata nella sua gestione a conduzione familiare, miracolo dell’eroismo dell’economia domestica, nessuno sfarzo, una banconota sull’altra, la convinzione che la bramosia e l’avidità sono universali, ma si esercitano meglio sui compaesani.
Tra quel che si vede e quel che si racconta resta uno scarto, una dissociazione, colori e atmosfere belli peraltro, testimoni di altre emigrazioni, non feriscono ulteriormente chi è senza patria. L’evento più inquietante è come don Luigi e il di lui figlio adottivo Pericle siano così adattati, senza nostalgia del Mediterraneo. Aircraft che scivolano sul Mare della Manica, tendopoli di siriani superstiti, poliziotti provenienti da estraneità esistenziale, camionisti vestiti bene e senza tatuaggi, immagini per lo smarrimento di Camus e Sartre, dove si perdeva la propria via, vengono depotenziate per un inseguimento a guardie e ladri, che fa la normalità, il già visto.
Pericle conosce il focolare domestico, sa accasarsi. Non si perderà mai, figlio in eterno.


Goffredo Carbonelli